Pubblico Impiego, Cavallaro: CISAL dice NO all’accordo truffa

Un rinnovo farlocco, con un incremento retributivo irrisorio, per la cui attuazione si dovranno comunque aspettare mesi. L’accordo di ieri sul Pubblico Impiego è un’operazione di facciata, con evidenti finalità mediatiche, che di fatto rappresenta l’ennesima e più grave sconfitta per la categoria. Oltre che una gravissima violazione di quella Costituzione che il Governo vuole cambiare.

 

 

Roma, 1 dicembre 2016 – Per la CISAL, il protocollo di intesa firmato ieri dal Governo e da alcune confederazioni sindacali per determinare le linee guida dei prossimi rinnovi contrattuali del Pubblico Impiego è inaccettabile.  L’accordo siglato ieri offende la dignità di oltre 3 milioni di lavoratori pubblici, offrendo al Governo una scappatoia rispetto ai vincoli in cui lo aveva costretto la Corte Costituzionale allorché con sentenza del luglio 2015 – promossa, tra gli altri, da un nostro ricorso – aveva stabilito la illegittimità del blocco dei contratti che si protraeva dal 2009.

Il protocollo si presenta estremamente vago circa la quantificazione delle risorse economiche: si limita a stabilire un aumento medio di 85 euro lordi che, da quanto si evince, dovrebbe scattare a regime solo a fine 2018. Per gli anni 2016 e 2017, infatti, vengono confermati gli stanziamenti già conosciuti: 300 milioni nel 2106 e circa 850 nel 2017, per effetto dei quali il pro capite medio non dovrebbe garantire più di 15 euro lordi per il 2016 e circa 40 euro lordi per il 2017!

L’accordo nulla dice circa il secondo semestre del 2015 per il quale, secondo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, i dipendenti del pubblico impiego avrebbero avuto diritto al rinnovo del contratto di lavoro. Punto che sembra essere stato “dimenticato” dai sindacati firmatari dell’accordo.

Su questa base appare possibile affermare che, in questo modo, il blocco dei contratti è stato di fatto prorogato sicuramente per il secondo semestre 2015 e per tutto il 2016 (vista l’esiguità delle risorse), mentre per il 2017 viene mitigato da un incremento obiettivamente misero e non linea con alcun tipo di indicatore economico.

E non è detto che nel 2018 le cose andranno meglio: bisognerà vedere, infatti, da quale mese scatterà l’aumento a regime. Tutto dipenderà dalle previsioni della legge di Bilancio che sarà approvata a fine 2017.

Questo fa presagire che i veri contratti, quelli cioè stipulati in sede ARAN e per effetto dei quali i lavoratori potranno concretamente beneficiare degli aumenti, con ogni probabilità potranno essere stipulati solo a 2017 inoltrato, con un ritardo di molti mesi rispetto a quanto annunciato.

In ogni caso, non è stato smentito che gli 85 euro che, si ribadisce, verranno corrisposti in media solo a regime, siano lordi: ciò vuol dire che l’incremento netto potrà variare, sempre a regime, tra i 45 e i 50 euro; si tratta di una somma assolutamente inadeguata a garantire un effettivo recupero della perdita di potere di acquisto che le retribuzioni del pubblico impiego hanno subito dal 2009 ad oggi.

Chi fa riferimento, per una comparazione, ai contratti che si stanno rinnovando attualmente nei settori del lavoro privato, che grossomodo viaggiano su importi analoghi, dimentica di evidenziare che in quegli ambiti, dal 2009 ad oggi, i contratti sono sempre stati regolarmente rinnovati e non si è subito l’effetto di depauperamento delle retribuzioni che, invece, ha contraddistinto il pubblico impiego.

Rappresenta un ulteriore problema il fatto che in molti casi l’aumento possa essere “rimangiato” dalla perdita del bonus fiscale di 80 euro.  Le previsioni in merito sono inquietanti: il protocollo non prevede nuove misure fiscali a sostegno e si ipotizza che i contratti debbano prioritariamente “valorizzare i livelli retributivi che più hanno sofferto la crisi economica” lasciando presagire che, per la prima volta nella storia economica del Paese, possa essere posta a carico dei contratti di lavoro la finalità di compensare la perdita di benefici fiscali. Siamo al paradosso: sono i lavoratori con il loro contratto che svolgono opera di compensazione rispetto a misure di fiscalità generale!

Il testo, inoltre, assume impegni anche per il “Sistema delle Autonomie” (Regioni, Province, Comuni), che, a quanto consta, dovrà essere pienamente coinvolto solo con passaggi successivi.

L’accordo stipulato ieri è peraltro di per sé una vera e propria anomalia: si tratta infatti di un “impegno” con cui gli stipulanti intendono vincolare i veri contratti di lavoro, che sono ancora lungi dal venire e per i quali è ragionevole che si arrivi a una effettiva stipula solo a 2017 inoltrato. Questo accordo, infatti, potrà essere “onorato” dal Governo solo con la prossima legge di Bilancio, da emanarsi a fine 2017.

E’ chiaro, a questo punto, che il protocollo sembra frutto più di una logica politica che sindacale e, sotto questo aspetto, non sembra tenere in considerazione le esigenze economiche di una categoria destinataria di un blocco retributivo che non ha eguali nella storia nazionale.

Al di là delle considerazioni di merito sull’intesa di ieri, è peraltro impossibile tacerne la genesi illegittima, avvenuta in violazione delle più elementari regole di democrazia. Nel Pubblico Impiego infatti la rappresentatività è rigidamente disciplinata dalla legge e le confederazioni aventi titolo a rappresentare la categoria non sono solo quelle convocate dal Governo. La mancata convocazione della CISAL viola gravemente proprio le regole a cui il protocollo sembra richiamarsi. In particolare, sono stati violati l’articolo 39 della Costituzione e l’intero impianto dell’attuale Testo Unico sul Pubblico Impiego. E’ un fatto gravissimo, senza precedenti, sintomo della deriva autoritaria che si profila nel Paese. Prima di invocare modifiche alla Costituzione, è necessario rispettarla e darle attuazione.

 

Francesco Cavallaro, Segretario Generale CISAL